Uno spunto autobiografico per una storia sofferta in cui Anne Riitta Ciccone rielabora il dolore per la malattia del padre attraverso il cinema. La sceneggiatura de "Gli Immortali", nelle sale cinematografiche, si è evoluta nel corso degli anni per farsi film. La protagonista si muove tra le architetture decadenti di quello che era l'ospedale Forlanini di Roma, ci fa attraversare la sua spirale di disperazione. Un inferno che la vede costretta a costruire - ormai solo al suo capezzale - un rapporto con un padre amato ed odiato, assente da sempre. Nel cast David Coco, Gelsomina Pascucci, Pirjo Lonka, Roberta Sardella, Davide Valle, Georgia Lo Russo, Marco Luca Vulcano e con la partecipazione speciale di Maria Grazia Cucinotta
La trama
L'idea dell'esistenza di un dio, o di più dèi il cui senso sia quello di salvare il mondo diventa più forte nei momenti in cui gli esseri umani sentono di avere meno controllo sulla realtà.
Ma Chiara non crede negli dèi. Lavora come tecnico delle luci nell'allestimento, per coincidenza, di uno spettacolo di Teatro-Danza dedicato a un dio, Dioniso, che punisce l'umanità per non aver creduto nella sua natura divina.
Quando Vittorio, il giovane e affascinante padre di Chiara piomba nella sua vita con un male che sembra considerato sulla Terra, a tutti gli effetti, come una punizione divina, Chiara deve gestire la più universale e atavica realtà che gli esseri umani di ogni parte e tempo, condividono.
Questa storia, una storia vera, è messa in scena come una rappresentazione che infinitamente torna in scena nell'inconscio della protagonista, come un'eucarestia che non porta che a un'unica risposta.
Le note di regia
Questo è un film che dovevo fare molti anni fa ma ho deciso all'ultimo momento di cambiare progetto, perché è una storia vera, frutto di una promessa, che ruota intorno a un tema talmente universale da necessitare che mi distaccassi più possibile dalla verità per renderla verosimile.
Il Tempo, l'ossessione del tempo che passa e la nostra impotenza come umani davanti a questa realtà è il tema, dover affrontare l'idea che si stesse verificando la più grande paura che mi accompagnava fin da piccola, la sfida.
Sono contenta di aver aspettato a fare il film perché intanto ho esplorato e preso coraggio nel consolidare una ricerca onesta: il cinema-verità e il realismo non sono mai stati lo stile che più riflette la mia visione del mondo, da regista ma anche da spettatrice. Poiché oggi quelle strade sono percorse in modo eccellente dai più e l'audiovisivo offre tanti linguaggi, era anche arrivato il momento giusto: non potevo che fare questo film, questa storia vera, con il linguaggio e la visione che sono il mio modo di vedere il mondo, per quelli che, come me, preferiscono la rappresentazione della realtà, non la sua imitazione. Volevo quindi realizzare questa storia drammatica con la natura che è delle tragedie greche - infatti la storia di Chiara e quella di Penteo si passano sempre più freneticamente la staffetta nel cercare disperatamente di salvarsi da quella che vivono come una punizione divina di cui si sentono colpevoli - ma la volevo realizzare con uno stile e un ritmo da film di fantascienza e ho avuto collaboratori molto complici, da questo punto di vista. Abbiamo ricreato visivamente, ma anche con il suono e le musiche, il palcoscenico dell'inconscio in cui si piazzano i nostri sogni, i nostri incubi, volevo che la protagonista si muovesse come ci muoviamo nel nostro mondo onirico, quello in cui cerchiamo di capire cosa sia successo quando dobbiamo elaborare sentimenti apparentemente irrisolvibili. Ho scritto la storia e poi l'ho costruita visivamente, muovendoci tra un Ospedale teatralizzato, un castello abbandonato in cui si svolge l’allestimento dello spettacolo e la sua messa in scena definitiva, un teatro dei ricordi che ricostruisce ciò che riusciamo a ricomporre nella memoria e nei sogni dei luoghi della nostra vita, la spiaggia del momento perfetto della nostra esistenza, una città che è la somma di tutte le città, mescolando vicoli antichi e paesaggi urban, in un montaggio che segue un’escalation tra piani che sempre più si confondono, lavorando quindi su archetipi in cui spero chiunque possa riconoscersi, questo mio personale e universale Requiem per tutta una categoria di persone, l'ho voluto strutturare azzardando quasi un genere nuovo, la commistione con il teatro danza, con l'allestimento che Chiara sta seguendo come tecnico delle luci, e la cui vicenda finisce per irrompere nella sua, come se il testo parlasse di lei, e in fondo parla di noi. Vero è che, il mito sembra dire che apparentemente tra gli umani e gli dèi, vincano sempre gli dèi, ma gli umani perdono davvero? Perché è risaputa la ragione per cui, alla fine, gli dèi ci invidiano.